Introduzione al metodo di prevenzione e contrasto del Cyberbullismo sviluppato dell’ambito del programma Daphne 2015-2016 e basato sul metodo anglosassone N.B.A. (No Blame Approach).

La metodologia qui descritta è uno degli aspetti centrali del progetto Europeo “Joining Forces to Combat Cyber Bullying in Schools“, finanziato attraverso il programma “Daphne” con la partecipazione di 5 nazioni europee: Germania, Italia, Slovenia, Ungheria, Polonia. Il cuore del progetto consisteva nel promuovere una cultura di gestione positiva dei conflitti nella scuola attraverso la sperimentazione di nuove strategie e metodi per prevenire, ridurre e risolvere i conflitti, con una particolare attenzione ai fenomeni di cyberbullismo, in costante crescita negli ultimi anni (come dimostrato da recenti studi nazionali ed europei quali “Eu Kids Online” e “Net Children Go Mobile”). Crescita che ha visto un’accelerazione significativa con la diffusione degli smartphone che permettono ai ragazzi un accesso personalizzato e pervasivo alla rete e ai Social Networks con nuove e sottili forme di rischio di esposizione dei ragazzi e violenza psicologica nelle loro relazioni. La metodologia sviluppata sperimentata e rielaborato nel corso del progetto parte dalla convinzione che la responsabilizzazione degli studenti sia elemento centrale e imprescindibile per la creazione e mantenimento di una cultura positiva di gestione dei conflitti. Il metodo prevede delle azioni mirate a rafforzare le capacità degli studenti di risolvere i conflitti attraverso soluzioni costruttive, contribuendo a prevenire la degenerazione dei conflitti in fenomeni di bullismo e cyberbullismo e migliorando al contempo le loro abilità sociali e le loro competenze di nell’utilizzo responsabile dei dispositivi digitali.

L’origine del metodo: il “No Blame Approach” (N.B.A.)
Il metodo N.B.A. (No Blame Approach) è stato originalmente sviluppato negli anni ‘90 in Inghilterra dagli educatori Barbara Maines e George Robinson raccogliendo un grande consenso a livello nazionale e internazionale. In seguito tuttavia è stato anche soggetto a critiche e si è per questo evoluto cambiando il nome in “support group approach”. Il concetto si basa sull’evidenza emersa dai dati raccolti in Inghilterra negli anni ’90 che hanno dimostrato come la strategia “punitiva” fino ad allora adottata, basata sull’idea che il modo più efficace per contenere il fenomeno dell bullismo fosse l’individuazione immediata e punizione esemplare dei colpevoli, non portasse a effettivi risultati nella riduzione dei casi di bullismo e tanto meno nel miglioramento delle condizioni psicologiche delle vittime, che al contrario nel caso di punizione esemplare vedono peggiorare la loro condizione di isolamento e acquisire pubblicamente l’etichetta di “vittime”, soggetti deboli o addirittura “traditori” per aver causato la punizione dei compagni.
I promotori di questo metodo hanno cercato allora di andare alla radice del problema partendo dal presupposto che i fenomeni di bullismo possono essere fermati solo cambiando le dinamiche di gruppo (approccio sistemico) perché il bullismo si sviluppa solo quando c’è l’appoggio attivo o silente dei compagni di classe e degli altri allievi.
In secondo luogo dalla constatazione che il circolo vizioso di isolamento della persona presa di mira può essere invertito solo attraverso la responsabilizzazione e l’attivazione positiva degli studenti del gruppo classe (compresi quelli più attivi nei comportamenti di bullismo).
Il metodo pone quindi come prioritaria e precedente la soluzione profonda delle dinamiche di bullismo e il benessere della vittima rispetto alla punizione esemplare del colpevole. Per questo prevede una sospensione temporanea della punizione che può essere addirittura cancellata nel caso in cui il gruppo classe (in un periodo breve e ben definito) sia riuscito a cessare gli atti aggressivi e ristabilire logiche di rispetto e inclusione della vittima di bullismo.
Il metodo a partire dagli anni ’90 si è diffuso a livello internazionale e in particolare in Germania, dove è stato introdotto nel 2005 e, dopo un riadattamento al contesto nazionale, ha visto una ampia sperimentazione con monitoraggio dei risultati ottenuti che ha confermato l’efficacia del metodo.
Lo studio condotto in Germania nel 2008 con il monitoraggio di oltre 220 casi di bullismo, ha evidenziato come gli atti di bullismo siano stati fermati in oltre l’80% dei casi in cui è stato applicato questo approccio.
La stessa indagine ha evidenziato che il 96% delle scuole coinvolte nella sperimentazione hanno espresso soddisfazione per l’applicazione di questo metodo*.
L‘ approccio della responsabilità di classe (adattamento italiano)
A seguito della sperimentazione attuata nell’anno scolastico 2015-2016 l’Associazione M.E.C. ha rielaborato il metodo appreso in Germania per adattarlo al contesto Italiano traducendo il nome con “metodo della responsabilità di classe”.
Il metodo mantiene tutte le basi metodologiche del metodo tedesco adattando solo alcuni aspetti comunicativi al contesto italiano (sia nel rapporto con gli studenti che con i genitori) ed ampliando il campo di applicazione in due direzioni:
– Il metodo si è rivelato utile anche in funzione preventiva: ovvero può essere proposto già quando sono percepiti dall’insegnante i primi sintomi di esclusione di un componente della classe che potrebbero sfociare in una dinamica di bullismo.
– Il metodo può essere applicato anche nei casi di cyberbullismo tenendo conto delle diverse dinamiche caratteristiche della rete e die diversi vincoli legali che compaiono quando le azioni si sono svolte, in parte o del tutto, attraverso canali on-line (Whatsapp, Instagram Facebook, Snapchat…).
Gli step di intervento qui di seguito una breve sintesi dei principali step dell’approccio. Si sottolinea che per essere applicato in maniera rigorosa il metodo richiede una formazione specifica per gli insegnanti basata sugli step e le modalità comunicative elaborate in Germania:
1. COLLOQUIO CON LO STUDENTE PRESO DI MIRA: dopo aver identificato il problema un insegnante scelto in accordo con il collegio docenti parla con la vittima offrendo il suo aiuto e spiegando alla vittima il metodo che si intende utilizzare, specificando che non comporta punizioni per gli autori degli atti di bullismo.
Se lo studente accetta l’idea di seguire questa direzione l’insegnante gli chiederà di segnalare (in via confidenziale) sia gli studenti che sono stati protagonisti degli atti di bullismo che i compagni di cui più si fida in classe (o con cui non è in conflitto).
2. ATTIVAZIONE DEL GRUPPO DI SUPPORTO: gli studenti così individuati assieme ad altri studenti eventualmente scelti dall’insegnante (in un numero massimo totale di 8 allievi) saranno quindi invitati a costituire il “gruppo di supporto”. Un gruppo di alunni che dovranno supportare l’insegnante a migliorare la situazione in classe: non attraverso indagini per conoscere i colpevoli o i dettagli dei comportamenti attuati, ma proponendo idee concrete, positive e che comportino un impegno personale.
Il mix del gruppo è decisivo: dovrà comprendere alcuni studenti leader (ad esempio i rappresentanti di classe), alcuni studenti più vicini alla „vittima“ e quelli nominati dalla vittima in quanto protagonisti degli atti.
In questo modo gli studenti scelti saranno coinvolti personalmente e attivamente nel processo di cambiamento che sarà rafforzato dal carisma di alcuni di loro nel confronto degli altri studenti della classe. La posizione dell’insegnante deve essere trasparente e chiara esprimendo la propria determinazione nel voler porre fine ad una situazione di sofferenza di uno studente e al contempo nell’evitare ogni tentativo di colpevolizzazione tra gli studenti per lasciar spazio ad iniziative costruttive da parte di ciascuno.
3. MONITORAGGIO: Dopo due settimane (massimo) l’insegnante incontrerà separatamente tutti gli studenti coinvolti , incluso quello preso di mira, per valutare se ci sono state delle evoluzioni positive. Raccoglierà inoltre altre osservazioni da colleghi e se necessario dai genitori dello studente.
In base alle informazioni raccolte si valuterà se il processo ha portato ad una evoluzione positiva, e in questo caso quali misure attuare per sostenerla, o se invece non ha avuto riscontri ed è quindi necessario pensare a strategie diverse.
Nota relativa ai casi specifici di Cyberbullismo
Nei casi in cui gli atti di umiliazione, esclusione o discriminazione si siano svolti attraverso Internet e i dispositivi digitali il metodo segue gli stessi passi sopra descritti ma parallelamente dovrà essere applicato un protocollo di intervento atto ad individuare il tipo di azioni svolte on-line e a mettere in campo delle risposte specifiche per rimuovere tempestivamente i contenuti umilianti/illegali ed evitare la diffusione virale di tali contenuti nella comunità studentesca e al di fuori della stessa.

 

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